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Il blog di Alessandro Capriccioli

Quando il tempo sarà un prato

Tempo di lettura: 5 minuti

Basta rifletterci un attimo per rendersi conto che la logica, stringi stringi, è sempre la stessa: si prende una cosa che per un motivo o per l’altro non piace – o spaventa, o mette in difficoltà perché ha una sua complessità che rende necessaria una sia pur modesta attività cerebrale per gestirla – e si inizia a strillare – forte – che quella cosa dev’essere vietata perché ne minaccia un’altra, che tuttavia non c’entra niente.

Attraverso questo – primitivo ma assai diffuso – meccanismo di difesa siamo passati senza colpo ferire dai matrimoni gay che mettono in pericolo la famiglia tradizionale alla “carne sintetica” che minaccia la cucina tradizionale e le eccellenze alimentari del “made in Italy”.

Il tentativo dei soliti irriducibili di ricondurre la questione a un minimo di raziocinio continua a fondarsi sulle consuete domande, apparentemente banali: se un maschio vuole sposare una femmina, perché dovrebbe essere ostacolato dal fatto che ad altri maschi sia consentito di sposare dei maschi? O anche, mutatis mutandis: se uno vuole ingozzarsi col lardo di Colonnata, perché dovrebbe sentirsi minacciato dal fatto che altri gradiscano le bistecche coltivate grazie alle staminali?

È evidente che una risposta vagamente razionale a queste domande – e a tante altre che potete immaginare da soli applicandole a un’ampia gamma di ulteriori slogan ormai consolidati – non esiste, tant’è che anziché provarsi a fornirla questi insistono, strillando ancora più forte i loro moniti incomprensibili e disegnando un mondo immaginario, sganciato da ogni logica, quasi onirico nella sua leggiadra insensatezza.

Ecco, a costoro bisogna riconoscere – perché inizio a pensare che a suo modo sia addirittura una qualità – questa sovrumana capacità di ignorare ragionamenti che sarebbero chiari anche a un bambino quattro anni, e di sfornare a getto continuo, con la sicumera di chi sta enunciando il teorema di Fermat a una platea di analfabeti, correlazioni sempre più sorprendenti nella loro inconsistenza.

Va da sé che per acquistare un minimo di senso, prive come sono di elementi logici che le sostengano, quelle avventurose congetture devono perlomeno essere evocative di qualcosa, devono portare chi le ascolta da qualche parte, devono suscitare, come si dice, un’emozione: che puntualmente si sostanzia – c’è meglio della paura per sollecitare una reazione? – nel sistematico rimando a una sorta di passato mitico e luminoso minacciato da un futuro – quando non direttamente da un presente – cattivo, abietto e oscuro.

Dopo le coppie gay che mettono a rischio la famiglia tradizionale e la carne coltivata che insidia il made in Italy (ma anche i migranti che rubano il lavoro, il sesso prematrimoniale che uccide il desiderio, la legalizzazione che favorisce le mafie e potrei continuare, ripercorrendo la lunga teoria di amenità che ci è toccato sorbirci negli ultimi anni), arriverà presto il tempo del sushi che compromette l’orata all’acqua pazza, degli smartphone che attentano alle raccomandate e via così, risalendo all’indietro, fino alla luce elettrica che mette inopinatamente a repentaglio candele e candelabri.

Quando questo viaggio sarà finito vivremo un tempo gioioso e fatato, nel quale torneremo a esprimerci con pochi ma efficacissimi suoni gutturali, a picchiarci con pietre e bastoni per dirimere le controversie e a misurarci allegramente in reciproche razzie di bestie e rudimentali suppellettili.

Finalmente, nuovamente, felici.