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Il blog di Alessandro Capriccioli

Calenda, Renzi, il carico e lo scarico

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Una delle cose che ho imparato durante la mia esperienza da consigliere regionale, che mi ha consentito di vivere dall’interno per cinque anni la cosiddetta “politica reale”, è questa deformazione per cui realizzare le cose è molto meno importante che addossare a qualcun altro la responsabilità del fatto che le cose non vengano realizzate. Poco importa se servirebbe, tanto per fare un esempio qualsiasi, migliorare la viabilità: quello che conta davvero è poter dire che la viabilità non è stata migliorata non per colpa propria, ma per colpa degli altri.

Si tratta, evidentemente di una vera e propria aberrazione politica, che tuttavia è ormai così diffusa da poter essere considerata a tutti gli effetti un metodo consolidato; un metodo che a Roma viene efficacemente designato con l’utilizzo del verbo “caricare”: “aho, tutto sommato ‘sta cosa se la caricano loro, quindi stamo a posto e bella pe’ noi”.

È fin troppo evidente che questo malcostume (per usare un eufemismo) altro non è che una strategia difensiva di tipo prettamente elettoralistico, il cui scopo è potersi giustificare con il proprio elettorato per la mancata realizzazione di questo o di quell’altro obiettivo attribuendone la responsabilità ai partiti avversari; è altrettanto evidente, però, che l’unica costante di questo specchio riflesso perenne è, appunto, il fatto che alla fine della fiera le cose non vengono realizzate (a prescindere da chi ne sia il responsabile), cosa che a lungo andare insospettisce anche i cittadini più bendisposti, i quali (essendo molto meno coglioni di quanto qualcuno immagini), nel dubbio su chi sia il colpevole ultimo della loro condizione disperata decidono di tagliare la testa al toro e non andare direttamente a votare.

Ora, chi mi conosce sa che non ho mai considerato la nascita del cosiddetto “partito unico” una priorità; anzi, stento ancora a comprendere (ma forse sono un po’ lento) in cosa consista esattamente questo spazio “liberaldemocratico” di cui qualcuno invoca a ogni pie’ sospinto la necessità. Però boh, c’erano questi due che ne facevano una questione di importanza capitale per le sorti del paese, a loro dire stretto in una morsa diabolica e mortale tra populismo di destra e populismo di sinistra, cosa che avrebbe potuto indurre uno sprovveduto come me a ritenere che per costoro l’obiettivo in sé avesse una qualche rilevanza.

Invece, a quanto pare, il punto vero è di nuovo il gioco dello specchio riflesso: Calenda cerca di “caricare” il fallimento su Renzi, il quale a sua volta tenta di “caricarlo” su Calenda, e ancora una volta l’unico risultato apprezzabile è che la “cosa” (in questo caso il cosiddetto “partito unico”) non si fa.

Forse qualcuno dovrebbe spiegare ai due protagonisti della vicenda che è proprio questo gioco infinito del “carico e scarico” uno dei mali più infidi che affliggono la nostra politica, e dunque che sostenere di voler riformare la seconda senza dismettere il primo è semplicemente impossibile.

Oppure, cosa che mi sembra assai più plausibile, si tratta di prendere atto che ancora una volta siamo di fronte a due riformatori che alla prova dei fatti non hanno intenzione di riformare un cazzo di niente.

Del resto non sono i primi, né saranno gli ultimi.