La realtà è ciò che si rifiuta di sparire anche quando smetti di crederci

Quartum non datur

“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. L’articolo 27 della Costituzione lascia poco spazio alla fantasia e all’interpretazione: le “pene”, tra cui il carcere, non hanno (soltanto) lo scopo di punire chi ha commesso un reato, ma dovrebbero (anche) perseguire il fine – assai più ambizioso – di “rieducarlo”. Ora, al di là del fatto che il verbo possa piacere o non piacere (e a me non piace, perché lo trovo paternalista e in qualche modo riduttivo, ma questa è un’altra storia), e detto che in democrazia ci si può dichiarare in disaccordo perfino con la Costituzione (salvo il dovere di rispettarla, perlomeno finché non si abbiano la forza e i numeri necessari a modificarla), non appare inutile domandarsi cosa significhi “rieducare”, e soprattutto quali conseguenze logiche, oltre che giuridiche, la parola porti con sé. Quanto al significato,

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