La media settimanale del rapporto tra nuovi casi e soggetti testati nel paese arriva al 20,07% contro il 18,99% di ieri, con un valore secco giornaliero (record, purtroppo) del 22,57% e una ritmo di crescita che riprende ad aumentare (negli ultimi 7 giorni 13,75% – 14,90% – 16,14% – 16,94% – 18,04% – 18,99% – 20,07%).
Come temevamo, dei timidi segnali positivi intravisti ieri e l’altroieri non c’è più traccia: la media settimanale continua da aumentare, ma la novità di oggi è che anche il valore secco giornaliero, in diminuzione sia martedì che mercoledì, riprende a salire. Nessuna stabilizzazione, dunque, almeno per il momento, e valori altissimi che continuano a rivelare sistemi di tracciamento sempre più compromessi in molte (moltissime) regioni del paese (ormai sappiamo che il limite per considerare il test and tracing efficace si attesta intorno al 3%, vero?). Nel grafico che segue potete vedere il rapporto settimanale tra nuovi casi e soggetti testati nelle diverse regioni, in ordine decrescente di valore (cioè partendo da quelle che sono messe peggio e finendo con quelle che sono messe meglio, o per dirlo in modo più appropriato meno peggio).
Anche oggi, insomma, i valori sono elevatissimi, e in crescita praticamente ovunque: per capirci, sotto al 10% sono ormai rimaste soltanto la Basilicata, la Calabria e Lazio.
I ricoverati in reparto ordinario sono 15.964, 983 più di ieri: siamo al 55% (cioè ben oltre la metà) del picco massimo (29.010 il 4 aprile), e cominciamo ad avvicinarci al quadruplo dei ricoverati (4.316) il 9 marzo, giorno in cui fu annunciato il primo lockdown.
I ricoverati in terapia intensiva sono 1.651, 115 più di ieri: siamo al 40,6%, cioè a ben oltre un terzo, del picco massimo (4.068 il 3 aprile), e a più del doppio rispetto ai ricoverati in terapia intensiva (733) del 9 marzo, giorno in cui fu annunciato il primo lockdown. A occhio e croce il tempo di raddoppio dei ricoveri in terapia intensiva è intorno ai 9 giorni: cosa che, di questo passo, ci porterebbe ad avere 3.300 terapie intensive tra dieci giorni, 6.600 tra venti giorni e intorno ai 13.200 (più del triplo del picco massimo, e temo ben oltre i posti disponibili) entro un mese.
Tanto per fare la solita verifica sull’attendibilità dei calcoli effettuati utilizzando il tempo di raddoppio, il 19 ottobre avevo postato una proiezione a 1.600 ricoverati in terapia intensiva di lì a dieci giorni (cioè oggi). A occhio e croce ci siamo, anche se la forbice tra previsione e dato effettivo, che ieri era pari a 36 unità, oggi diventa un pochino più grande .
I decessi settimanali sono 1.154, 81 in più rispetto a ieri, e si avviano a raggiungere il triplo dei decessi settimanali (411) del 9 marzo, giorno in cui fu annunciato il primo lockdown.
Nel Lazio la media settimanale del rapporto tra nuovi casi e soggetti testati sale a quota 9,49% rispetto al 9,08% di ieri, con un dato secco giornaliero (praticamente uguale a quello di ieri e l’altroieri) del 9,83%. In questo caso la vaga sensazione di possibile avvio alla stabilizzazione che abbiamo intravisto ieri sembra confermarsi, anche se è ancora possibile (per non dire probabile) che si tratti semplicemente di due o tre fluttuazioni verso il basso consecutive. I ricoveri ordinari sono 1.786, 11 più di ieri e ormai decisamente superiori al picco massimo di 1.468 il 28 aprile) e quelli in terapia intensiva (168, due in più di ieri e pari all’82,8% rispetto al picco massimo di 203 l’11 aprile).
Insomma, ieri avevamo intravisto dei piccoli segnali positivi che oggi , perlomeno a livello nazionale, sembrano essere svaniti. Non credo, per la verità, che ci fossimo fatti illusioni: avevamo premesso mille volte che per parlare di stabilizzazione sarebbe stato necessario aspettare qualche giorno e verificare l’andamento dei dati. I quali dati, purtroppo, diventano ogni giorno più critici, così come ogni giorno si riduce il tempo di manovra a disposizione per evitare il collasso dei nostri sistemi sanitari.
Attendiamo, ammesso che ce ne siano, gli effetti delle misure restrittive di qualche giorno fa: nella consapevolezza del fatto (perché le cose dobbiamo dircele) che, qualora dovessero rivelarsi insufficienti, potremmo essere fuori tempo massimo per correggerle.